Pietà e vera felicità

L’altro giorno ero nel bar di fronte la biblioteca a mangiare un panino. C’era una ragazza, probabilmente zingara, che elemosinava soldi. In molti la scansavano, me compreso, chi più chi meno maldestramente. Poi arriva una donna, probabilmente un’insegnate dei licei vicini, che le offre da mangiare:«Ti offro quello che vuoi. Vuoi un panino? L’arancina?». Ma lei niente, voleva i soldi. «Non te li posso dare i soldi» risponde educatamente la donna «Ma se vuoi da mangiare dimmelo che ti compro quello che vuoi». Brava signora! Ho pensato.

Non sopporto questa gente. Certo tra di loro ci saranno pure persone bisognose, ma non sopporto proprio quelli che giocano sulla pietà! Preferisco dare soldi con piacere a quelli che ti allietano con la musica sull’autobus. Non sopporto che una ragazza a vent’anni non si dia da fare lavorando onestamente, ma tintinna monete nel bicchiere dentro a un bar. Peggio non sopporto vedere altri che di mattina presto, bevendo birra al bar della stazione, scrivono su cartoni di fortuna “Moglie morta Figli affamatiPrego aiutate” e ridono. Ma soprattutto odio chi gioca con la pietà mandando BAMBINI!

A tal proposito mi sono ricordato di un articolo, lo ripropongo.

Sulla vera felicità

Per rimanere in tema di felicità, vi racconto un piccolo fatto che mi è successo ieri.

Pomeriggio passato in giro per Palermo con Saro. Prima al Foro Italico a rilassarci un po’ e a renderci effettivamente conto del passaggio di stagione, un metodo abbastanza scientifico per farlo è calcolare la percentuale di ombellichi di fuori… Passaggio di fretta dalla fumetteria di via Vittorio Emanuele e infine gelato da Marcello in via Roma all’angolo di via Bandiera. Senza neanche rendercene conto si fanno le 19.30.

Maaaa stasera che mangiamo? Non abbiamo neanche uscito la carne dal congelatore. …mangiamo fuori? Perfetto!

Verso le 10 andiamo allora alla Champagneria in uno di quei locali davanti la chiesa di Sant’Ignazio dove fanno il Kebab. Tutti quelli che sono andati almeno una volta alla Champagneria sanno che non puoi pretendere di sederti tranquillo per cinque minuti senza che un esercito di marocchini ti assalti proponendoti la merce più svariata. In venti minuti ne abbiamo respinti tre.

Chi mi conosce sa che per me tovagliolino del bar vuol dire origami. E più precisamente “cigno che sbatte le ali” (che è l’unico che so fare oltre la barchetta…). Così finito di mangiare il mio panino, mi metto li con pazienza a spiegazzare il mio foglietto di carta, aspettando che anche Saro finisse di mangiare.

A un certo punto, quando stavamo per andarcene via, vediamo un bambino che poteva avere massimo sei anni, avvicinarsi al tavolo accanto al nostro a chiedere dei soldi suonando una fisarmonica giocattolo. Faceva molta pena e tenerezza. Il mio commento forse potrebbe sembrare un po’ brusco e cattivo: «Non ho dato soldi a quelli di prima e li devo dare al bambino?». Dal mio canto io ho pensato che se gli davo dei soldi, questi di sicuro non finivano a lui.

Mentre lui faceva il giro dei tavoli io giocherellavo in modo appariscente col cigno facedogli sbattere le ali (se gli tiri la coda le ali si muovono), così quando alla fine si è avvicinato a noi ho preso il mio giocattolo di fortuna e gliel’ho regalato. Lo prende e si allontana, ma subito mi accorgo che non aveva capito il meccanismo per farlo funzionare. Allora lo richiamo, gli faccio vedere lentamente come doveva tenerlo e il movimento che doveva fare. «Adesso prova tu!» gli dico riconsegnandogli il cigno.

Un sorriso a 50 dentini gli è subito comparso sulla faccia, e se n’è andato via contento. Un sorriso a 50 denti è comparso anche sulla mia faccia.

A Cefalù non c’è una Biblioteca Pubblica

bib1A Cefalù non c’è una Biblioteca Pubblica.

Dentro questa frase racchiusa la storia di una città che, nei 130 anni seguiti al lascito dell’illustre barone Mandralisca, è andata avanti in un susseguirsi di periodi più o meno culturalmente illuminati. È infatti il 26 ottobre 1853 quando il Mandralisca, nel testamento olografo, rende manifesta l’intenzione di costituire, con i propri libri, una Biblioteca da mettere a disposizione del Liceo e dunque della comunità cefaludese, organizzata in modo moderno e dotata pecuniariamente per potersi alimentare e durare nel tempo, almeno nelle sue intenzioni.
Da allora tuttavia i cambiamenti non sono stati molti. Ad oggi, sebbene dopo quasi un secolo e mezzo sia del tutto insufficiente a far fronte le esigenze di un utenza certamente diversa, e nonostante l’esiguità del patrimonio librario complessivo, soprattutto recente, la Biblioteca Mandralisca è ancora l’unica biblioteca pubblica di Cefalù.

La cosa che preoccupa di più però è che, nel susseguirsi delle pubbliche amministrazioni, e anche ora in procinto delle elezioni comunali, la grave mancanza di una biblioteca moderna quasi mai è stata evidenziata, né mai ha scaturito un dibattito dal quale si potesse evincere l’ombra della volontà di realizzarne una. L’idea che mi sono fatto in merito, in questi tempi di bassezze della Politica, è che, esistendo già la biblioteca Mandralisca, i nostri amministratori si ritrovano una casella già spuntata nella lista delle promesse da mantenere. Porto, “da fare”; teatro, “fatto”; biblioteca, “fatto”; lungomare, “da fare”; e così via..
Probabilmente la mancata necessità di adeguare l’offerta bibliotecaria, deriva dal concetto antiquato che abbiamo di questo servizio. Si tende a pensare alla biblioteca come una istituzione monolitica e impermeabile alla società e da sempre particolarmente distante dagli adolescenti, gruppo peraltro eterogeneo e non riconducibile a un modello unico. In verità il vecchio concetto di biblioteca è distante dagli adolescenti, quanto da tutta la gente comune, in quanto non è in grado né di offrire spazi riconosciuti come identitari né, tantomeno, è al passo con le potenzialità delle nuove tecnologie (dalla possibilità di scaricare brani musicali dal web, alle nuove forme di forum in rete), né, ancora, offre occasioni per costruire relazioni di gruppo vissute come proprie, soprattutto sul piano espressivo e artistico.

Cefalù ha invece la necessità di spazi come una Biblioteca Civica, moderna, al passo coi tempi. Negli ultimi mesi dopo che le pagine della stampa locale sono state riempite di gravi fatti, è emerso un grave disagio giovanile, ma allo stesso tempo è stata messa alla luce la mancanza di spazi che favoriscano la socializzazione dei giovani. La biblioteca potrebbe essere una valida risposta. Bisogna archiviare una buona volta il concetto di biblioteca monastica piena di grossi volumi impolverati, e invece iniziare a immaginarla con grandi vetrate, tavoli spaziosi ben illuminati provvisti di prese per i computer portatili, divisi in area del silenzio e area dove si può parlare per studiare insieme, fare progetti, realizzare cartelloni, coperta interamente da rete wi-fi, con un’area divanetti, area mostre, un piccolo auditorium, una caffetteria e così via. Ma soprattutto bisogna pensare a biblioteche che oltre a opere ricercate contengano librerie piene di libri comuni come, libri di scuola, romanzi, riviste, fumetti, ma anche film e album musicali. Così la biblioteca diventa punto di socializzazione.

Inoltre le biblioteche civiche, oltre ai servizi di consultazione e prestito di libri e documenti multimediali, sono promotrici di iniziative culturali di vario genere, destinate agli adulti e ai ragazzi: letture animate, incontri con gli autori, gruppi di lettura e di conversazione in lingua e corsi di formazione, di scrittura creativa, per imparare ad utilizzare il PC e Internet, per conseguire la patente europea del computer ecc. Privare Cefalù di una Biblioteca Civica significa pertanto privarla di una fonte inestimabile di ricchezza.

Conludo con le parole del prof. Saja alla conferenza “Una Biblioteca per Cefalù” di qualche anno fa:«se, a Cefalù, non esiste una Biblioteca Pubblica Comunale, ciò torna ad onta, ma potrei dire: “vergogna“, di tutte le amministrazioni comunali che nel tempo vi si sono succedute! Non c’è peggior modo di tradire la volontà e l’esempio di Enrico Pirajno, che invece sentiva come indispensabile la creazione di uno spazio pubblico in cui “i libri potessero incontrare i loro lettori“; che consentisse ai volumi di uscire dalla riservata fruizione di singoli privilegiati ed aprirsi ad una consultazione più vasta: condizione primaria ed irrinunciabile per consentire una reale e democratica diffusione del sapere».